Alternanza scuola lavoro, bisogno o necessità?

10 Febbraio 2017

L’obiettivo dell’ alternanza scuola lavoro, riassunto e sintetizzato a parole, è anche semplice. Ovvero, provare ad accorciare la distanza fra il mondo del lavoro e quello della scuola. Ben più difficile, invece, è passare dalla parola alla pratica. Quello che finora è spesso stato un auspicio, un bisogno, una necessità alla quale cercare di dare una risposta concreta diventerà, a partire da settembre, un vero e proprio obbligo per oltre un milione e mezzo di studenti italiani.

Il mondo del lavoro entra in aula e gli studenti in azienda

Uno dei capisaldi della riforma nazionale denominata “La buona scuola” ed approvata negli anni scorsi dal Governo, infatti, è l’ alternanza scuola lavoro. Si tratta di un progetto iniziato già negli ultimi due anni coinvolgendo gli alunni del terzo e del quarto anno degli istituti superiori, che a partire dall’anno scolastico 2017/2018 entrerà però pienamente a regime attraverso il coinvolgimento anche delle classi quinte. Nel complesso questo progetto dovrebbe costare circa 100 milioni di euro all’anno e, come detto poche righe or sono, coinvolgere complessivamente un milione e mezzo di studenti in tutto lo Stivale.

 

Come funziona l’ alternanza scuola lavoro ?

Per tutti questi studenti iscritti al triennio degli istituti superiori sarà predisposto un pacchetto di 200 (nei licei) o 400 ore per gli istituti professionali che provi ad accorciare questa distanza fra scuola e lavoro. Avvicinare generazioni diverse, portare esperienze di imprese ed aziende all’interno del mondo scolastico, far entrare i giovani in contatto anche con realtà quali enti culturali, ordini professionali, liberi professionisti, imprese individuali, istituzioni ed associazioni di volontariato e sportive, costruire un format didattico che permetta a ragazzi e ragazze di accedere a percorsi formativi di livello. Questo, in estrema sintesi, è l’obiettivo dell’alternanza scuola lavoro. Ecco perché in cattedra, durante queste ore, ci saranno non solamente docenti interni ma anche tutor esterni: professionisti, imprenditori, lavoratori che possano – attraverso corsi ed incontri – costruire con gli studenti un’esperienza educativa a 360 gradi. Ma il percorso dell’alternanza scuola lavoro prevede anche la possibilità di portare i giovani direttamente in azienda, per unire l’aspetto dello studio teorico alla pratica. Il tutto in moduli concordati fra le realtà economiche che aderiscono al progetto ed i diversi istituti: nel complesso si tratta di una realtà ben differente rispetto ai (facoltativi) tirocini e stage ed in grado di inglobare in sé anche l’apprendistato, che attraverso “La buona scuola” diventerà un vero rapporto di lavoro con tanto di contratto e piano formativo. Al termine di questo periodo svolto direttamente in azienda viene anche rilasciata una certificazione delle competenze acquisite, che potrà essere inserita nel proprio curriculum.

 

I dati dei primi due anni di sperimentazione

Dopo il primo anno pieno di alternanza scuola lavoro le regioni nelle quali il maggior numero di studenti ha intrapreso questo cammino sono:

  • Lombardia (105.564)
  • Campania (66.411)
  • Lazio (64.265)
  • Veneto (55.245)
  • Sicilia (53.554)

 

Complessivamente, secondo i dati forniti dal Miur, ad aver usufruito di questa possibilità finora sono stati 652 mila ragazzi in questi primi due anni di attuazione del progetto.

 

Gli esempi: ragazzi fra i corridoi degli enti pubblici o in gelateria

La destinazione nella quale alunni ed alunne potranno svolgere questo progetto dipenderà, ovviamente, dal numero di richieste degli enti disponibili a prendere parte al progetto. Non stupisca, allora, di vedere ragazzi e ragazze impegnate in azienda, seduti ad una scrivania oppure a preparare il gelato in un locale, ma non solo: anche alle prese con il fornire informazioni ed indicazioni ai visitatori di un museo, oppure servire pasti caldi nei centri della Caritas, altri aiutano (ed apprendono) ingegneri ed architetti per arrivare fino a coloro che hanno osservato dall’interno il funzionamento della pubblica amministrazione.

 

La problematica: ok alle professionali, ma gli altri?

Fra i problemi maggiori sottolineati in questi primi due anni di sperimentazione vi è una risposta non eccezionale da parte delle aziende medio/piccole, ovvero quelle realtà che recitano un ruolo da protagonista nel tessuto economico italiano. Questo perché tante imprese sono interessate a poter avvicinare e “pescare” giovani interessanti che, dopo il diploma, possano iniziare subito il proprio percorso lavorativo. Così da “allevarsi” in casa un giovane e promettente dipendente, cosa più semplice con gli istituti professionali dove, dopo questa prova “sul campo”, le porte dell’azienda possono subito spalancarsi. Diverso è per gli alunni dei licei: a che pro formare ragazzi e ragazze che poi però andranno all’Università? È quello che si chiedono alcune realtà economiche. E che quindi non possono diventare, a breve, una importante risorsa per le aziende? L’altro rischio di questo progetto, sottolineato da una nota pubblicata nei mesi scorsi dalla Cgil, è che in alcune regioni questa alternanza si trasformi in un serbatoio di lavoro gratuito o non regolarizzato.

 

Perché un’azienda dovrebbe aderire?

Domanda che, inevitabilmente, tutti i titolari ed i dirigenti di imprese grandi, medie o piccole si fanno. “Ma io, oggettivamente, cosa ci guadagno nel portarmi in casa questi studenti?”. Certo, organizzare stage e periodi in aziende è più complicato che tenere qualche lezione direttamente nelle scuole durante una manciata di mattine. Ma è anche la “palestra” migliore e per tutti, non solamente per il giovane che potrà mettere alla prova quanto imparato sui banchi di scuola e, nel contempo, migliorare “sul campo” conoscenze, competenze, comunicazione eccetera. Perché il Miur ha previsto per le realtà economiche che assumono questi ragazzi che abbiano svolto l’alternanza scuola lavoro degli sgravi fiscali importanti, pari a 3.250 euro all’anno, per tre anni, di esonero dai pagamenti dei contributi previdenziali. Inoltre aderendo al progetto si può testare sul campo un giovane dalle caratteristiche interessanti, da far crescere, oltre a poter “testare” il proprio prodotto su un consumatore medio di domani.

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